venerdì 31 maggio 2013

Donne : Forza e Coraggio

Per tante donne cercare di farsi una nuova vita lontane dalla povertà o dalla guerra nei loro paesi d'origine vuol dire anche lasciare i figli con nonni o zii, portando con sé soltanto una fotografia e forse anche un peluche che stringono di sera a occhi chiusi cercando il loro odore di pappe e camomilla. Che cosa struggente lasciare un figlio nel paese d'origine per cercare qui in "occidente" un futuro; molte di loro sono laureate, alcune con un lavoro e una vita normale ma in alcuni paesi, da quello chiamato "il terzo mondo", la pericolosità di molte città e i conflitti armati da alcune decadi spingono molte donne a cercare altrove un posto diverso dove crescere i figli; se non puoi uscire tranquillamente per andare a scuola o al parco e vivi con l'incertezza ogni giorno è molto dura.

Al tuo arrivo, la cosa più importante è trovare un lavoro anche se a mala pena si sa dire "ciao", "buon giorno" e istintivamente rispondi di sì a tutto e dopo due minuti ti trovi in difficoltà perché vuoi imparare in fretta e dimostrare quanto sei capace di svolgere il lavoro richiesto. Tutti i giorni pero hai gli stessi pensieri, i figli lasciati a casa: cosa farà adesso, sarà a casa, all'asilo, a scuola, forse in giro con gli amici; telefoni e senti la sua voce, sembra cosi vicino e invece è a kilometri e kilometri di distanza...e cosi passano i giorni, i mesi e a volte gli anni, ci sono donne che da parecchi anni non vanno a casa a trovare i figli perché preferiscono inviare la maggior parte dei soldi guadagnati per i loro bisogni.

Si convive sempre con nostalgia di casa e quando sei lontana dalla tua famiglia è tanta. Il lavoro dà stabilità economica ma pensi continuamente a quello che a casa tua hai lasciato. 

Cambia todo cambia                                          Cambia tutto cambia
cambia todo cambia                                           cambia tutto cambia
Pero no cambia mi amor                                   Ma non cambia il mio amore
por mas lejos que me encuentre                         per quanto lontano mi trovi
ni el recuerdo ni el dolor                                   né il ricordo né il dolore
de mi pueblo y de mi gente,                               della mia terra e della mia gente
lo que cambiò ayer                                            e ciò ch'è cambiato ieri
tendrà que cambiar manana                             di nuovo cambierà domani
asì como cambio yo                                           così come cambio io
en esta tierra lejana.                                          in questa terra lontana.

                                                                   (Mercedes Sossa - Todo Cambia)

(Jhoana Ostos Tavera)

La ragazza dell'Est


Una storia incredibile.
Ma, mostruosamente, vera.

Anno 2010. La ragazza era russa. Minorenne. Si prostituiva.
Era arrivata a Bologna con un giro di sfruttatori, senza sapere, diceva lei, cosa l’aspettasse. Vero o no, a un certo punto era approdata ad una  associazione per imparare un poco d’italiano. Lì, aveva conosciuto un gruppo di donne “normali”, con un lavoro per bene – da badante ad avvocatessa, addirittura – e figli, a volte, o genitori da rendere orgogliosi, o un progetto di vita, o un amore….
Avevano tutte le età, e tutte le esperienze, e provenivano da tutti i paesi del mondo: e lei, un po’ di amicizia l’aveva fatta.
Al punto che, per farla uscire dal “giro”, l’avevano coinvolta in un progetto dei servizi sociali per i minori non accompagnati. Ospitata in casa-famiglia, guardata a vista, supportata.
Aveva fatto un corso di formazione, aveva preso un attestato. Una piccola riqualificazione, una scommessa vinta con se stessa.

Poi, è diventata maggiorenne.

Espulsa dalla casa per minori. Ebbene sì, RIMESSA IN STRADA.

“E’ maggiorenne”, dicevano le assistenti sociali, “Non è più affar nostro”. Con l’immancabile: “Non possiamo farci niente”…..

La ragazza è sparita. Non sappiamo più nulla di lei.

Perse, anche noi, nel vortice delle emergenze, dei bambini, dei disoccupati, dei malati. L’abbiamo lasciata scivolare via dalle nostre giornate. E, prese dalla precarietà del nostro stesso lavoro, delle esigenze dei nostri figli, dei nostri anziani, abbiamo dovuto – voluto? – guardare altrove. Per incuria, sfinimento, esasperazione. Facendo del nostro meglio, che non è mai abbastanza.

Come dicevo: la ragazza è sparita. Oggi, non sappiamo più nulla di lei.

(Alessandra Lazzari)

lunedì 6 maggio 2013

Femminicidio: ma quale task force, ripartiamo dalle donne

La premessa è questa: sono sempre stata contraria alle quote rosa. In politica soprattutto.
Uno, perché le donne non sono dei panda. Due, perché va votato chi vale, indipendentemente dal suo genere. 

Detto questo, guardo con ottimismo alle tante donne, per la prima volta così numerose, del governo appena insediatosi.

Ci sarà tempo per valutare il loro operato, ma spiace constatare che tra le prime dichiarazioni di intenti ci sia il classico annuncio vuoto. Che definirei da uomini, se volessi forzare la mano e cadere nel campo delle generalizzazioni.
Una task force contro il femminicidio.
Leggetela ad alta voce: UNA TASK FORCE CONTRO IL FEMMINICIDIO.
Ma che significa?
Anche a voler sorvolare sul fatto che l'espressione è mutuata dal linguaggio militare, come funzionerebbe questa unità di pronto intervento contro la violenza sulle donne?
Qualcuno lo ha spiegato? E, soprattutto, qualche giornalista ha avuto la cortesia di chiederlo?

No, perché l'Italia è piena di cosiddette task force. La task force contro l'evasione fiscale (e, a parte qualche roboante intervento a sorpresa a Cortina, poco è cambiato), la task force contro gli affitti in nero (sono scomparsi?), la task force contro l'inquinamento, la task force contro la droga, la task force contro il degrado e, la più bella di tutte, la task force contro la disoccupazione annunciata sempre dal governo di Enrico Letta.

Ma entriamo meglio nel merito della dichiarazione di intenti del ministro per le pari opportunità, Josefa Idem: serve una legge unitaria sulla violenza sulle donne, attuare campagne di informazione e sensibilizzazione, migliorare l'applicazione delle norme esistenti. E, prima di tutto, conoscere il fenomeno muovendosi in maniera trasversale con il ministero degli interni e della giustizia.

Benissimo. Ma in concreto cosa intende fare, il governo, andare casa per casa a stanare il mostro? O istituirà (è una domanda retorica, perché lo istituirà) l'ennesimo osservatorio che farà l'ennesima conta delle vittime? Che, non lo dimentichiamo, non sarà mai precisa perché non può che fondarsi sulle denunce di un fenomeno che aumenta perché gioca sul sommerso.

Insomma, perché non la smettiamo di riempirci la bocca di parole, parole, parole?
La coscienza, non sarebbe meglio pulirsela con un po' di sano silenzio e rispetto per le vittime? Magari accettando che su certi fenomeni, senza un'educazione che parta dalla culla, siamo completamente disarmati? Così come lo è chi non può fare altro che intervenire a posteriori, tamponando a medicare la ferita, nella migliore delle ipotesi, piangendo su una lapide nella peggiore?


Finché il genere umano non verrà completamente resettato, continueranno ad esserci uomini che si sentiranno autorizzati a trattare le loro donne come oggetti o, se va bene, come cameriere. E ancora poliziotti e carabinieri che sottovaluteranno le denunce sporte, avventori di bar che commenteranno con il solito "chissà com'era vestita" e, addirittura, genitori che minimizzeranno i racconti delle figlie. 

La verità, anche se non vi piacerà, però, è una sola. 
Questi uomini violenti non sono figli di due uomini. Di due xy. Ma di un uomo e una donna.
Una donna, che li ha portati in grembo nove mesi.

Noi donne, invece di indignarci e basta, perché non ci facciamo anche un bell'esame di coscienza?
Come li abbiamo educati i nostri figli? A essere serviti e riveriti? E, prima, come ci siamo approcciate ai nostri uomini? E ancora: quanti complimenti, anche al limite della volgarità, ci hanno compiaciute?


Il tema è tutto culturale, e non riguarda solo gli uomini. Perché l'educazione, spiace farlo notare, è per la stragrande maggioranza impartita dalle donne. Prima a casa, poi a scuola.

Sarò esagerata, ma una madre che non insegna al figlio ad avere rispetto prima di tutto per chi da quando è nato lo ha accudito, ebbene, siamo sicure che lo stia proteggendo e aiutandolo a diventare un uomo autonomo? E se invece si stesse traformando prima nella sua ancella e poi, alla lunga, nella sua cattiva maestra? Condannando di fatto chi verrà dopo di lei a convivere con un uomo che, nella propria compagna, continuerà a cercare quella serva che lo ha cresciuto?

Meditiamo, noi donne, soprattutto. Perché le leggi già ci sono. Saranno anche perfettibili, ma uccidere è già un reato, così come lo sono i vari sottoinsiemi di violenza.
Non è che elevare la violenza sulle donne a reato specifico le renderà più forti. Al contrario, potrebbe rischiare di renderle ancora più deboli e indifese agli occhi dei loro carnefici.

Lavoriamo sulle donne, non sugli uomini.
Rendiamole più forti, più indipendenti, più lungimiranti e, soprattutto (perché è sempre una questione di amore), più amorevoli.

(Alessandra Testa)


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