venerdì 26 febbraio 2016

SHEmum - Il concorso di fiabe per madri di origine straniera



SHEmum – La magia della lingua madre è un concorso di scrittura di fiabe per madri di origine straniera ideato dall'associazione di promozione sociale SHEnews, fondata da un gruppo di giornaliste e operatrici della comunicazione, immigrate e italiane, in collaborazione con il Centro interculturale Massimo Zonarelli.
Nell'ambito delle celebrazioni della giornata della lingua madre istituita dall'Unesco nel 1999 per promuovere la diversità culturale e il multilinguismo, il premio letterario ha tre grandi obiettivi:
1) chiamare alla scrittura le donne che, da sempre, inventano storie per i propri bambini e dare loro la possibilità di raccontarle nella loro lingua d'origine e, soprattutto, di renderle comprensibili anche a chi quella lingua non la conosce;
2) offrire ai piccoli lettori un ventaglio di racconti scritti nelle lingue più parlate dalle madri che abitano nel nostro paese;
3) realizzare un libro di favole in 10/15 lingue diverse (possibilmente quelle più parlate in Italia), tutte affiancate dal testo tradotto in italiano.
Chi può partecipare: le donne (ma anche gli uomini) di origine straniera, madri (e/o padri) o in attesa di diventarlo che alla data del 10 gennaio 2016 abbiano compiuto 18 anni.
Modalità di partecipazione: il concorso si rivolge direttamente ai cittadini (o in attesa di diventarlo) di origine straniera e residenti sul territorio italiano. Ogni partecipante dovrà scrivere una favola nella sua lingua d'origine e tradurla in italiano. I testi, rigorosamente inediti, non dovranno superare le 6.000 battute. Gli elaborati dovranno essere inviati in formato pdf entro e non oltre il 30 maggio 2016 all'indirizzo di posta elettronica: infoshenews@gmail.com.
Le favole scelte verranno illustrate da un gruppo di disegnatori indicati dall'organizzazione del concorso.
Obiettivo: realizzare una pubblicazione illustrata per i bimbi iscritti alla scuola dell'infanzia (nido e materna) e alla scuola primaria (elementari). L'obiettivo del concorso di scrittura è quello di realizzare una pubblicazione di favole scritte nelle lingue madri degli immigrati che hanno scelto il nostro paese come seconda casa. Lingue che, spesso, i figli che “vogliono essere italiani” - perché qui sono nati o cresciuti - tendono a rifiutare nel loro ancora “maldestro” tentativo di sentirsi uguali agli altri.

https://www.labuonavernice.it/shemum-la-magia-della-lingua-madre/



mercoledì 24 febbraio 2016

La mia giornata internazionale delle lingue madri

Figlio del mio paese uccidi il mio paese,
e poi volti le spalle alla realtà come se niente fosse
e su di me il corpo come quello di una spada,
scendo, oh scendo,
perché questo è ciò che sta accadendo (...)
I ragazzi hanno sentito che la libertà è alle porte,
così sono scesi in piazza e hanno cominciato a cantare,
a manifestare per la libertà... hanno visto dei proiettili
gli altri hanno detto:
noi siamo i vostri fratelli,
noi siamo i vostri fratelli e non vi colpiremo mai (...)
 




Con le parole tratte da Ya Hayef, poesia di Samih Shaqir, è cominciato il flash mob che la compagnia teatrale Cantieri Meticci ha messo in scena al Centro interculturale "Massimo Zonarelli" in occasione della Giornata internazionale delle lingue madri. Una giornata fatta di canti, balli e incontro tra diverse culture con una sola motivazione: l'integrazione.
I più piccoli scrivevano su fogli di carta i nomi delle loro favole preferite e alcuni pensieri nella propria lingua madre, poi li attaccavano alla "ruota delle favole" e ballavano attorno ad essa, sentendosi partecipi di qualcosa di importante.
È stata un'occasione per condividere e conoscere l'altro; un qualcosa che sembra scontato ma che in troppi si sono dimenticati...
Sono un individuo, una donna, una cittadina extracomunitaria, giornalista e madre; sabato 20 febbraio mi sono identificata con questi ragazzi del gruppo di teatro di Cantieri Meticci, ragazzi immigrati da paesi in zone di conflitto che con quelle poesie raccontavano un po' di quello che stanno vivendo in questo momento, della loro voglia di libertà e del bisogno di stare in un posto dove riuscire a crescere, a vivere. 
In tempi in cui devi subire tanti discorsi discriminatori su quanto «gli immigrati stanno togliendo ai cittadini di questo paese» e in cui, spesso, sono proprio le istituzioni a far passare questa informazione, forse basterebbe guardare alle nuove generazioni.

(Jhoana Ostos Tavera)







giovedì 18 febbraio 2016

Nuove opportunità e sviluppo al femminile a Bogotà, capitale della Colombia

Le politiche in ambito di diritti per le donne in Colombia hanno iniziato a cambiare: le istituzioni e le diverse organizzazioni che fino al 2000 si occupavano di queste tematiche hanno trovato uno spazio nel quale le donne cominciano finalmente ad essere ascoltate. Una delle donne che ha intrapreso nel 2004 il progetto dell'Ufficio comunale della donna Secretaria Distrital de la Mujer è stata la giornalista Martha Elena Barriga, che ha concentrato il suo impegno sulla prevenzione della violenza, la sua eliminazione e l'accesso alla giustizia. Un lavoro integrale, che concentrandosi su queste tre priorità, ha creato una strategia per aiutare le donne nella ricostruzione di un progetto di vita, grazie al coinvolgimento di assistenti sociali, psicologi, educatori e professionisti della comunicazione.



Le ragazze o donne vittime di violenza domestica si rivolgono al servizio è sono ascoltate e orientate, l'aiuto che viene dato loro dipende dalla gravità delle problematiche esposte: ricevono sostegno oppure, se in pericolo di vita, sono ospitate in una delle sei casa refugio di Bogotà. In questi casi vengono applicate misure di protezione: ricevono un alloggio, attenzione, vestiario e soprattutto un sostegno di tipo giuridico. Un periodo di quattro mesi durante il quale devono cercare di rompere il circolo di violenza e ricominciare tornando a vivere da sole. Una volta fuori dalla casa rifugio, segue un periodo di sei mesi tra visite a domicilio e la ricerca di un lavoro, una delle parti più difficili per riaffermare la propria indipendenza. Nel 70% dei casi le donne che hanno seguito questo programma delle case rifugio non torna a vivere con l'aggressore, sfortunatamente il 30% di esse lo fa, e queste cifre sono il motivo per il quale si continua giorno dopo giorno a lavorare perché non ci sia ni una màs, nessuna in più.
Sono diversi gli scenari nei quali questo ufficio attualmente lavora, c'è molta comunicazione con la cosiddette Secretaria de Educaciòn e Secretaria de Salud, rispettivamente il segretariato per l'educazione e la salute e gli altri enti statali che lavorano sulla sensibilizzazione e la prevenzione nelle scuole. Perché sominciando dai più giovani - è la convinzione - si possono ottenere grandi risultati.


Il conflitto armato è un'altra delle gravi problematiche dalla Colombia: le donne fuggono della violenza nei campi con i loro figli, i noti come desplazados de la violencia. Molti degli uomini sono stati costretti a combattere oppure sono stati uccisi; anche in Colombia le donne sono armi di guerra. Non sono soltanto vedove, figlie o madri, sono donne segnate dalla violenza che in molti casi ha lasciato dei traumi fisici e psicologici: tante volte hanno visto uccidere i lori cari e in altri casi sono state vittime di violenze sessuali. 
Ci sono tanti tipi di violenza di genere ma nei paesi in situazioni di conflitto come la Colombia la situazione è ancora più complessa, la guerra toglie tante cose agli individui, ma mai la voglia di lottare.

(Jhoana Ostos Tavera)

Per saperne di più, ascolta anche l'intervista realizzata da Jhoana Ostos Tavera a Nadia Sabala dell'Ufficio per l'eliminazione della violenza contro le donne e refrente delle case rifugio per donne maltrattate di Bogotà.


mercoledì 17 febbraio 2016

Tessere per raccontare

Pensavo a quanto fosse strano tornare nel mio paese, nella mia città d’origine (a Bogotà la capitale della Colombia) e trovarmi in uno dei bar più rinomati per lo squisito caffè di cui il mio paese è per tradizione grande esportatore.
Sono all'Oma Cafè ad aspettare Fabiola Calvo, giornalista colombiana della quale avevo sentito parlare molto ma che non conoscevo ancora. Avevo letto e visto sul web un po’ del suo lavoro con la rete internazionale di "periodistas con visiòn de género" (giornaliste con visione di genere); lei è una di quelle giornaliste di vecchia data che hanno cominciato a battersi per i diritti delle donne negli anni Ottanta. Per me conoscerla era qualcosa di speciale.
Minuta, occhi scuri e profondi, cosi come la immaginavo, molto diretta e sicura di sé, semplice e schietta; una persona che anche se la vedi una sola volta ti rimane impressa perché ogni conversazione con lei ti lascia qualcosa. Fabiola fa parte della rete colombiana di giornaliste con visione di genere che si è formata dopo la Segunda Conferencia Latinoamericana de mujéres Periodistas (Seconda Conferenza Latinoamericana de Donne Giornaliste de la Federación Internacional de Periodistas FIP), tenuta a Río di Janeiro, Brasile, dal 25 al 28 di marzo 2004. La rete ha come obiettivo di cambiare il modo di vedere la realtà delle donne e di conseguenza trasformare l’informazione: il modo d’informare, analizzare, raccontare.
Fabiola ha cominciato a raccontarmi dell’attività delle giornaliste che appartengono alla rete, il loro lavoro si può paragonare al mestiere delle tessitrici perché partendo della realtà di ognuna delle nazioni che fanno parte di questo gruppo (il Messico per il Centro America, il Brasile, la Colombia, e l'Argentina per il Sud America e la Spagna per l'Europa) si riesce a intervenire nell'ambito dell’informazione e della comunicazione promuovendo un linguaggio per l’inclusione, per un giornalismo più rivolto al femminile.
Di questa rete fanno parte 36 paesi, ci sono degli incontri ogni due anni, ad ogni incontro cambia il coordinatore della rete, in questo momento sono Svezia, Colombia e Messico i paesi coordinatori e hanno l’incarico di scegliere tra le proposte presentate da ogni paese per lavorare ad un progetto in comune. In questo modo si riesce a trattare delle tematiche d’interesse per tutti: comunicazione per la parità, violenza di genere e femminicidio, tratta di persone e prostituzione, diritti sessuali e riproduttivi e il ruolo delle donne nel conflitto armato tra gli altri. 
Parlare con lei della situazione in materia di diritti in Sud America e in Europa mi ha fatto capire che anche se viviamo in nazioni e culture diverse le problematiche delle donne, la violenza di genere e la mancanza di un linguaggio per l’inclusione è una cosa sentita da tutte.
In Colombia c’è il conflitto armato e come conseguenza il fenomeno dei "desplazados", persone che fuggono dalla violenza nelle campagna lasciando le loro case, terre e la loro cultura per sopravvivere nelle grandi città; in Italia ci sono gli sbarchi di uomini, donne e bambini arrivati dalle nazioni africane e del Medioeriente che fuggono dalla guerra e dalla povertà. Le donne sono usate come armi di guerra in tutti i paesi in conflitto; il femminicidio esiste in occidente come nel terzo mondo; questo mi ha fatto capire quanto ha in comune chi come "noi" cerca nei media una visione di genere che permetta alle donne di essere considerate come individui con diritti concreti e non come soggetti alla ricerca di parole, soltanto parole, che poi si porta via il vento.


(Jhoana Ostos Tavera)

lunedì 15 febbraio 2016

Ni Reinas Ni Cenicientas

Ni Reinas ni Cenicientas. Questa frase è una di quelle che mi è sempre piaciute perché sono stata una bambina che preferiva le passeggiate nel quartiere in bici alle bambole, le escursioni alla ricerca di animali nel bosco e le partite di frisbee al gioco della cucina; sono sempre stata un po' un maschiaccio con il bisogno di uscire dagli schemi per stare bene, non ho mai voluto essere "né regina né cenerentola".
Ed è a questo che penso guardando le puntate di Ni Reinas Ni Cenicientas, la serie creata da Fabiola Calvo Ocampo, giornalista colombiana che da tre anni e mezzo ha intrapreso un progetto ambizioso e unico nel suo genere: un programma tipo documentario nel quale si cerca di arrivare alla quotidianità delle donne; si promuovono i suoi diritti e si dà loro voce. Sono artiste, donne che vivono per strada, sindacaliste, insegnanti, lavoratrice nel campo del riciclaggio, l'agricoltura, i campi di fiori e la prostituzione, dottoresse e anche manager; donne di tutti tipi e classi sociali che abitano a Bogotà, la capitale della Colombia.
Le loro storie sono narrate dalle protagoniste in prima persona: come sono le loro giornate, le lotte quotidiane per farsi strada in una società maschilista dove ogni cambiamento per la loro indipendenza può costare la tranquillità della vita famigliare, i figli e tante volte anche la vita.
Sono queste le storie che il programma presenta ai cittadini, un programma nato dalla Red de Periodistas de Colombia ( Rete di Giornaliste colombiane) con il sostegno della UNIfem (ONU per le donne), il Fondo per le Popolazioni delle Nazioni Unite, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD) e anche di diversi organismi del governo colombiano.
È apripista in America e anche in Europa, un programma che è riuscito ad entrare nelle case e ad attraversare le frontiere anche linguistiche per il suo modo di trattare le diverse problematiche delle donne, con uno sguardo giornalistico al femminile e tenendo sempre in primo piano l'importanza dei diritti delle donne.
Contribuire alla divulgazione di progetti come questo aiuterebbe molto anche alla presa di coscienza da parte anche dei ragazzi perché sono storie raccontate in modo autentico e in un linguaggio comprensibile; programmi che guardi volentieri perché le protagoniste sono donne come noi.

(Jhoana Ostos Tavera)